Questo libro specialistico e tecnico ci porta, con una prosa piana e accattivante, nel vivo della prassi operativa delle botteghe pittoriche veneziane del primo Cinquecento, con i loro elementi di continuità tradizionale e con le importanti novità come l’introduzione della pittura a olio. Dall’acquisto alla preparazione dei colori, dall’organizzazione del lavoro al ruolo del disegno, anche il lettore non addetto ai lavori ha il privilegio di essere introdotto nel momento cruciale dell’affermarsi della “Maniera moderna” nella città lagunare, quando pensiero e azione concorrono alla creazione di capolavori fondamentali della cultura occidentale. Concentrandosi sulle figure di Giorgione, Sebastiano del Piombo e Tiziano, l’autrice incrocia con competenza i trattati sulla pittura, dati archivistici e storico artistici e i risultati di vastissime campagne di indagini scientifiche (riprese fotografiche a luce radente, immagini in fluorescenza visibile all’ultravioletto, riflettografie all’infrarosso, radiografie, spettrometria XRF, indagini stratigrafiche e del legante) e di restauro condotte nei decenni dal Laboratorio della Misericordia, un centro di eccellenza sorto a seguito della grande inondazione del 1966 per iniziativa del soprintendente Francesco Valcanover, con il sostegno dei comitati internazionali per la salvaguardia di Venezia. Dopo aver afferito alla Soprintendenza di Venezia, il Laboratorio fa parte dal 2014, a seguito della riforma Franceschini, del museo nazionale autonomo Gallerie dell’Accademia, che è impegnato a proseguirne la funzione di supporto all’intero sistema dei beni culturali veneziani ed è attivamente dedito a implementare le banche dati dei risultati degli interventi, da ultimo attraverso uno specifico progetto del Servizio Civile Nazionale. Sandra Rossi valorizza e sistematizza in questo volume le sue conoscenze, frutto della lunga e qualificata esperienza di lavoro come storico dell’arte nella Soprintendenza di Venezia, approfondite tramite un dottorato presso l’Università di Verona negli anni accademici 2011-2013 e successivamente nel suo servizio presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Come lei stessa ci indica, l’articolazione delle esperienze professionali nelle carriere rivolte alla cura del patrimonio e l’attento dialogo tra approccio umanistico e approccio scientifico sono altamente auspicabili e permettono consapevoli progressi nello studio, nella comprensione e nella valorizzazione.
-- Paola Marini (Direttrice, Gallerie dell’Accademia di Venezia)
Ai giorni nostri, le tematiche relative alla “fisicità” dell’opera d’arte figurativa, attraverso gli studi scientifici che oggi siamo in grado di effettuare e di fornire al pubblico degli interessati, unitamente alla documentazione archivistica e documentaria sono indispensabili per un’analisi che si basi non solo sulle conoscenze e capacità identificative del ricercatore relative ai diversi linguaggi presi in esame. È questa l’indagine che il bel libro di Sandra Rossi ci presenta. In relazione soprattutto a grandi artisti del Rinascimento veneto come Giorgione, Tiziano e Sebastiano del Piombo, le cui opere, spesso compiute in momenti molto vicini cronologicamente, vengono indagate attraverso le più aggiornate documentazioni diagnostiche, sottolineando i tratti comuni e rivelando la commistione fra le botteghe che, spesso, lavorano a stretto contatto. Senza remore o preclusioni. Gli strumenti che vengono proposti per le analisi diagnostiche sono, com’è noto, fra le altre, le indagini del dipinto a luce radente, agli infrarossi, la fluorescenza UV, le stratigrafie, le analisi del legante, ecc. che l’autrice dimostra di saper utilizzare con competenza e preparazione scientifica. Ne vien fuori un panorama della pittura veneziana di quel momento specifico inaspettato e ricco di prospettive nuove. Che, sulla base ovvia delle ricerche condotte in passato (che privilegiavano la lettura “formale” del lessico di ogni singolo autore), arricchite dai ritrovamenti archivistici e da diverse interpretazioni di quel linguaggio, ci presenta una sequenza di nuove tematiche con cui affrontare un momento cruciale dell’evoluzione del percorso di ogni singolo artista in rapporto con gli altri due. Si parte dall’analisi del contesto veneziano relativo alle botteghe d’arte dove i nostri tre autori non risultano appartenere ad una classe sociale di particolare evidenza. Anzi: si direbbe che la loro – al di là delle singole opportunità creative e gestionali – fosse un’attività basata sulla capacità organizzativa dei pittori a rapportarsi con il “cantiere”, con i collaboratori, con i fornitori di materiale (i “vendecolori”), con i committenti senza contrastarsi l’un l’altro, ma anzi in armonia e con volontà esplicita di partecipazione. Tant’è vero che – come la Rossi sottolinea – è più che plausibile che i tre, almeno negli anni fra 1506 e 1510, lavorassero assieme, scambiandosi giudizi, collaboratori e perfino ordini, disegni, dipinti già iniziati. Sodalizio che si interruppe solo con la morte del pittore di Castelfranco. Si analizzano ancora i materiali che gli artisti usavano; descrivendo la tipologia delle tele come anche del supporto ligneo – secondo le caratteristiche della specie vegetale – ovvero della pietra: che venivano preparati adeguatamente come le analisi condotte hanno rivelato. Ed apprendiamo, entrando anche nel campo dei colori usati, che i tre artisti spesso si servivano di analoghe tecniche nel preparare i materiali su cui dipingere, ovvero, al contrario, si differenziavano nell’adottare i colori da usare (Tiziano, ad esempio, usa spesso l’azzurro di smalto proveniente dalla Germania). Anche il disegno preparatorio che sottende i diversi dipinti viene osservato nello specifico lessico usato dai tre pittori rilevandone, soprattutto in questo caso, le dissomiglianze. E anche la qualità delle successive pennellate ad olio (ma quale olio? Le possibilità offerte sono diverse) viene analizzata nel dettaglio di singole opere dove si sfatano - proprio attraverso le indagini diagnostiche - alcuni miti come quello della “precocità” di Tiziano in rapporto, ad esempio, a Sebastiano Dal Piombo. E ancora, nell’ordine delle scelte iconografiche proposte dai pittori ovvero dei “modelli” cui far riferimento, si sottolinea - sempre attraverso l’analisi radiografica o riflettografica delle opere prese in considerazione: e per tutte valga l’esempio della Tempesta di Giorgione – come spesso l’immagine inizialmente concepita sia stata sovvertita in seguito a seconda della “moda” del momento o a diverse esigenze del committente. Come si vede un panorama ricchissimo ed affollato di problemi. Che vanno da dettagliate analisi particolari su due singoli dipinti (la Pala di Sebastiano dal Piombo per la chiesa di S. Giovanni Crisostomo e la Presentazione di Maria al tempio di Tiziano per la Scuola della Carità) alla schedatura conclusiva di ben 33 opere degli autori citati di cui vengono, appunto, evidenziate soprattutto le indagini diagnostiche e i restauri subiti: con precise segnalazioni della documentazione scientifica relativa. Un “esercizio d’arte” che resterà molto a lungo la base con cui affrontare la storia e l’evoluzione della pittura veneta di quegli anni.
-- Loredana Olivato (Università di Verona)
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